Qu’ant’anni

Qua’nt’anni


Ci garbano i simboli. Li lasciamo lì, a raccontarci le storie che ci piacciono di più. 
I compleanni tondi sono un bel simbolo – festeggiare 146000 giorni di vita sarebbe molto meno efficace – e ci piace da morire avere paura del tempo che passa. Come guardare di sottecchi una scena horror in TV. Percepire quell’ebbrezzina brividosa che alberga tra il “sono diventato grande”, il “la vecchiaia s’avvicina” e il “mi sento ancora un ragazzino”. Per non parlare dell’eterno ”è tempo di bilanci”: io non vi sfuggo mai. In realtà è una costante… il bilancio, il progetto, il rendiconto, il rifasamento, ecc. È proprio un problema mio personale. Li facevo a dodici anni, i bilanci. Da bambino mi chiedevo se a casa avessimo messo l’allarme, prima di uscire. Insomma, è da una vita che dico che quando son nato avevo già quarant’anni, e ora succede che all’improvviso ce li ho davvero.
 Ci son quindi tante cose che mi hanno sempre fatto sentire vecchio. Ci sono altre cose che, invece, mi lasciano in una sempiterna età indefinita, che a volte mi sembra quattordici anni, a volte ventisette. Ma più che un’età, ho il sospetto di sentire un’altra cosa, cui non saprei dare un nome preciso; una roba che forse mi disegna, a prescindere del tempo. Delle immagini, delle malinconie, delle forze che mi attirano. Tipo: io non riesco a passare davanti al campino che sfracassavamo dalle pallonate e pensare «o perché gli altri non ci sono? Magari domani si fissa e si gioca». Non ce la fo. Devo fare una serie di pensieri razionali per spiegarmi che il tempo del pallone h12/24 è finito ventidue estati fa. E che no, non tornerò più a Marina di Pietrasanta a mangiare undici ghiaccioli al giorno in spiaggia, e nemmeno al campo scuola di Sappada. Non si andrà più a ballare, mentre tutti si appartano e io sventolo la pezzòla ballando la Carrà. Quella roba lì è finita. 


C’ho infine, a discapito del potere che hanno su di me il Fantasma del Passato e il Fantasma del Presente, un gran culo relativo al mio Fantasma del Futuro. Un doppio gran culo:  una curiosità infinita – mi piace tutto, vorrei sapere tutto, adoro vivere ogni cosa, ruttare il millesimato al Gambero Rosso in ciabatte così come soppesare i tannini nel vinaccio del trippaio, mentre mi sporco la camicina coi gemelli – e la voglia di giocare, il più possibile. Anche se perdo, anche se son stanco, «via ragazzi facciamo l’ultima». Queste due cose qui riescono a sconfiggere anche quell’insolente della mia pigrizia. Queste due cose forse mi salveranno la vita fino alla morte. 


E quindi ora? Quali sono i bilanci e i progetti? È difficile. Anche perché so di aver avuto una vita strana. Strana rispetto a un qualsiasi altro nato negli anni ’80 in quest’Italia qui, piena di paesini (come il mio) che un tempo erano pieni di fabbriche, circoli, tavoli tappezzati di briscole che volavano insieme alle madonne. Di preti comunisti e case del popolo accoglienti. Di piazze piene, di bar, circoli, botteghe gestite da gente di cuore, che ti faceva entrare sul retro per farti assaggiare il bombolone finito di friggere ora. Il babbo e la mamma erano a lavorare ma, in paese, tutti erano il babbo e la mamma. E se facevi una cazzata deludevi tutti e, se c’era prendersi per il culo, nessuno s’impermaliva. Vengo da lì. Ma sono andato da altre parti, rispetto a dove sono andati tutti gli altri… quindi è difficile capire dove potrei essere domani. 


So dove sono ora, sicuramente. 
So esattamente che cosa fa di me uno che “deve lasciar posto ai giovani”: la musica di oggi (della quale dico quello che diceva il mi’ nonno del frastuono dei Pink Floyd), gli asterischi in fondo alle parole, la divinizzazione degli animali domestici, la cultura del “prima io”, il transumanesimo futuro inevitabile. Queste cose, mi spiace per chi ho deluso, mi renderanno “il vecchino che borbotta fra sé e sé”. 
So esattamente cosa vorrei dal mio futuro. Che traccia vorrei lasciare. Mi sono successe tante cose belle e, in quasi tutte, il rapporto umano è stato centrale. Maestri e professori mi hanno sbloccato capacità, preti mi hanno spiegato la vita, gli amici mi hanno curato l’anima, le risate, le storie, gli applausi hanno risuonato mille volte in cui ho potuto partecipare alla cerimonia del teatro, la strizza e il divertimento hanno fatto fiorire i gruppi di allievi che mi hanno affidato una piccola porzione della loro vita. Mi darebbe l’idea di fare qualcosa di buono, se potessi concentrarmi su questo in maniera seria.


Come arrivarci non lo so; procedo a tentativi. 
Intanto mi prendo il lusso di passare una giornata a letto. E scrivere, come non facevo da troppo.