Continuano a scomparire simboli che costruiscono il nostro orizzonte di vita. Simboli universali – come i personaggi che abbiamo sempre visto alla tele, i cantanti che ci aiutavano a scrivere le letterine d’amore – o i simboli del nostro angolo di mondo. Al mio paesello quest’estate è venuto giù un albero che disegnava inequivocabilmente il panorama e svettava in tutte le foto dalla fine dell’Ottocento. Nessuno fa più il ciabattino, è grassa se è rimasto in piedi un bar con le caramelle all’orzo, non c’è più il postino che sapeva a memoria le abitudini dei destinatari.

Continuano a sparire simboli e, benché questo sia un dato di fatto sempiterno, è un lutto continuo che ci spaventa. Anche perché non vediamo la vera domanda: siamo capaci, noi, di costruire altri simboli? Di dare un valore collettivo a nuove cose?

Siamo pieni di fonti storiche su “il mondo non è più quello di prima, si stava meglio quando si stava peggio, e i giovani signora mia non hanno più rispetto”, ma non va sempre uguale; ci sono davvero epoche nelle quali la cultura si restringe, la ricchezza materiale e spirituale pro capite diminuisce e noi diventiamo un po’ meno civili e un po’ più tribali. Io so’ io e voi, punto.

Poi la tecnologia viaggia a velocità inaudite e spinge il nostro sistema di valori a cambiamenti sempre più repentini: in questi venti anni la nostra vita è cambiata dieci volte più velocemente che nei venti anni precedenti. Gli stessi venti anni nel Novecento sono stati un lasso di tempo trascurabile, Guerra a parte. Se atterrassimo nel XVII secolo probabilmente non saremmo in grado di capire se siamo nel 1616 o nel 1678.

Siamo spaventati, impoveriti, disorientati da questo vorticare dei tempi.

I partiti conservatori propongono la soluzione ideale a questi nostri sentimenti: negare il cambiamento, annullare la complessità del mondo, ridefinire i contorni delle cose così come piacevano a me. In modo tale che anche l’anziano della Casa del Popolo possa rimanerne attratto, consolato dalla speranza che almeno qualcosa torni “nella norma”, così come l’aveva vissuta lui.

Non è così che andrà, non è così che potrà mai andare.

Anche se non ci saranno ius soli o ius scholae, nelle nostre classi esistono GIA’ quegli italiani figli di immigrati. Pagheranno tasse e useranno servizi, faranno cose belle, normali o brutte come gli altri cittadini, non riconoscere loro alcuni diritti non sarà altro che un danno per tutti. Ci sono GIA’ le famiglie monoparentali, arcobaleno, allargate, eccetera, esisteranno a prescindere dai governanti, non riconoscere loro alcuni diritti non sarà altro che un danno per i loro figli, italiani di domani. Esistono GIA’ le donne che abortiscono e metter loro i bastoni tra le ruote non può risolvere in nessun modo la tragedia, può solo mettere loro addosso un peso ulteriore. C’è GIA’ chi fuma marjuana e non normare questo campo è solamente un danno, non porta nessun tipo di beneficio.

Potrei fare altri esempi ma non mi interessa il singolo contenuto, così come non mi interessa che i partiti progressisti possano proporre novantanove ricette fallaci su cento, il punto è lo schema generale. È il principale motivo per cui non capisco come si possa votare un partito conservatore. Oppure mi può aprire un’altra domanda: davvero non può esistere un partito di centrodestra che riesca a capire la complessità del nostro mondo?

Nella foto: una tazzina della Manifattura Mancioli, un pezzetto del mio paesello (ex) operaio che non esiste più.